Aspetti psicologici

Convivere con la malattia di Charcot-Marie-Tooth comporta una serie di conseguenze sul versante fisico, psicologico e sociale, e gli aspetti psicologici nella CMT non vanno sottovalutati.

 

Atrofia muscolare, deformità con dita a martello o ad artiglio nei piedi e nelle mani, perdita di equilibrio sono i sintomi più frequenti nella CMT

I sintomi più comuni nella Charcot-Marie-Tooth

L’impatto della malattia sulla vita di ogni singolo individuo è modulato non soltanto dalla severità delle manifestazioni della malattia stessa, ma anche dall’atteggiamento che il soggetto assume (il suo “stile”), dalla presenza di figure di supporto, dalle opportunità e gli aiuti ai quali la persona può accedere nella propria quotidianità.

Dedicare spazio agli aspetti psicologici della convivenza con la malattia significa, in primo luogo, riconoscere ad ogni malato lo sforzo emotivo che il confrontarsi con le limitazioni comporta. Ci sembra importante, inoltre, dedicare un po’ di spazio e di tempo a riflettere su risorse e limiti che possono contribuire ad agevolare o ad ostacolare possibili percorsi di adattamento.

Il percorso per arrivare alla diagnosi

Nelle narrazioni di molte persone con la CMT, la storia di malattia, e quindi di vita, è caratterizzata da innumerevoli accertamenti e, a volte, da qualche intervento inutile o sbagliato prima di arrivare alla diagnosi. Per queste persone, il percorso diagnostico è caratterizzato sul versante emotivo dalla presenza di molte incertezze ed elevata preoccupazione; la comunicazione della diagnosi, alla fine, può essere associata ad una sensazione di sollievo («finalmente ho capito di che cosa si tratta, ho trovato specialisti che conoscono la malattia»).

Per altre persone la comunicazione della diagnosi può provocare una reazione di shock, seguita da vissuti di angoscia, dolore, rabbia.

Le reazioni di ogni soggetto dipendono dallo stile individuale nell’affrontare difficoltà e problemi, dalle caratteristiche di personalità e dall’atteggiamento generale verso il mondo (pessimista, realista, ottimista). Le risposte emozionali sono inoltre strettamente legate all’idea che ognuno si è fatto della propria condizione di malattia, sulla base delle informazioni che ha ricevuto o delle esperienze che ha vissuto nel caso che altri familiari abbiano la CMT.

Consapevolezza di malattia e adattamento

Il confronto quotidiano con i sintomi della malattia può comportare la comparsa di reazioni emozionali coerenti con il vissuto di perdita, la paura per il futuro, la rabbia per le proprie limitazioni. A volte questo è un primo passo obbligato, al quale, dopo un certo tempo, variabile da soggetto a soggetto, fa seguito lo sviluppo di strategie per la gestione degli aspetti problematici. Si tratta di un processo verso una progressiva piena consapevolezza della propria condizione (“non nego le mie difficoltà ma neppure mi limito più di quanto sia necessario”), una percezione di sé che, pur tenendo conto di difficoltà e limitazioni, costituisce la base da cui partire per la formulazione e la realizzazione dei propri obiettivi.

Alcune persone, pur riconoscendo la presenza di malattia, rifiutano di sentirsi malate e cercano di mantenere il più possibile il proprio stile di vita, sforzandosi di conservare la propria autonomia e continuando a coltivarsi come persone attraverso il proprio lavoro, le relazioni personali, gli hobby. Un adeguato adattamento consente alle persone malate di ricercare attivamente o aderire alle proposte di aiuto (fisioterapia, psicoterapia, ricorso ad ortesi e ad ausili specifici), volte a migliorare la qualità della vita quotidiana.

Criticità sul versante psicologico e comportamentale

A volte, il processo di adattamento alla presenza della malattia e alle conseguenti limitazioni viene ostacolato dalla presenza di alcune criticità sul versante psicologico e comportamentale.

Una importante reazione depressiva alla quotidiana convivenza con i problemi di salute e all’incertezza per il futuro, il senso di colpa per essere portatori di una patologia cronica, progressiva ed ereditaria, possono portare al rifiuto della condizione di malattia, inducendo ad assumere un atteggiamento oppositivo e/o di estrema passività. Il rifiuto per la malattia, che ogni persona con CMT può avere sperimentato in qualche momento, se protratto nel tempo può portare ad adottare stili di vita inadeguati (ridotta attività fisica, eccessivo consumo di cibo, di bevande alcoliche o droghe, ricorso eccessivo all’automedicazione) o all’isolamento sociale.

A volte, il disagio psicologico, apparentemente riconducibile alla malattia, ha le sue radici in una condizione di fragilità psichica più profonda e precedente l’insorgenza o l’aggravamento dei sintomi: alcune persone tendono a manifestare depressione o elevato disagio psicologico in presenza di qualsiasi evento stressante; a volte, inoltre, le persone malate si trovano ad affrontare situazioni complesse, caratterizzate dalla contemporanea presenza di molteplici problematiche di rilievo.

Le figure di supporto

Uno dei punti di forza, che facilita la convivenza con la malattia e migliora la qualità di vita, riguarda la possibilità di avere intorno a sé figure di supporto (familiari, amici, ma anche figure sanitarie e/o assistenziali), che consentano alla persona malata di non sentirsi sola ad affrontare la malattia, persone che siano in grado di accogliere manifestazioni di dolore e di incoraggiare a perseguire i propri obiettivi.

Il rapporto con i familiari, a volte, è reso complicato dal desiderio di “nascondersi” vicendevolmente il proprio dolore e la propria preoccupazione. Questo comprensibile desiderio di protezione reciproca può tuttavia comportare la comparsa di fraintendimenti e tensioni: la persona malata potrebbe sentirsi incompresa e sola; il familiare potrebbe pensare che i propri sforzi per aiutare ed essere vicino al malato vengano sminuiti o che “non siano mai abbastanza”.

È esperienza abbastanza frequente, che le persone con CMT vivano situazioni nelle quali un familiare e/o il partner offrono aiuto quando non necessario (“facendomi così sentire più malato di quello che sono”) e altre nelle quali gli stessi familiari e/o partner non si accorgono della situazione di oggettiva difficoltà, ignorando le “tacite” richieste di aiuto del malato.

Sull’altro versante i familiari o partner si sentono, a volte, come se venisse loro richiesto di essere in grado di “leggere il pensiero” del malato. Per ridurre difficoltà e tensioni è importante cercare di diventare sempre più consapevoli dei propri desideri e delle proprie necessità, sforzandosi di esprimerli in modo chiaro ed esplicito alle persone care.

La presenza di buoni rapporti sociali è un altro elemento che può facilitare la convivenza con la malattia. La possibilità di mantenere rapporti sociali è modulata dalla qualità dei rapporti stessi e dalla forza di superare il disagio, che in alcune situazioni si può provare nel rapportarsi con le altre persone (per le persone con CMT è spesso fonte di imbarazzo essere osservate mentre camminano, gestire tutori ed ortesi nei momenti di intimità, …).

Malattia e figli

I giovani adulti con diagnosi di CMT sono oggi generalmente informati sul carattere ereditario della malattia e sulle diverse opzioni che si troverebbero di fronte, qualora decidessero di avere dei bambini. Questo tema è estremamente delicato per i giovani malati e per i loro partner e richiederebbe sempre la possibilità di accedere a consulenti esperti e formati, che consentano ad ogni coppia di arrivare ad una decisione libera e responsabile.

I genitori che hanno trasmesso la malattia ai figli, spesso a propria insaputa, provano un senso di colpa che richiede di essere in qualche modo affrontato, per costruire una relazione il più possibile equilibrata.

Avere figli con la CMT comporta, in diversa misura, la presenza di dolore e preoccupazione per le difficoltà che i propri figli si trovano e si troveranno ad affrontare.

A volte comunicare la propria diagnosi ai figli o comunicare ai figli che essi stessi hanno la CMT è un tema che mette in grande difficoltà i genitori. A chiunque si ponga questo problema è utile ricordare che una comunicazione diagnostica è sempre un “processo” di acquisizione e metabolizzazione di informazioni, che richiede tempo e disponibilità al dialogo.

Mentire, minimizzare, evitare il confronto su questo tema può comportare la comparsa di idee e fantasie erronee, a volte più angoscianti della realtà. Inoltre, avere informazioni chiare e corrette sulla malattia può aiutare a sentirsi in qualche modo più padroni della situazione e di conseguenza più tranquilli.

All’opposto, fornire informazioni eccessivamente tecniche e dettagliate e una grande quantità di informazioni in una sola volta può confondere la persona che le riceve, di nuovo provocando reazioni di ansia e distanziamento.

Essere bambini e adolescenti con la CMT

Molti ragazzi e adulti con la CMT, quando ripensano alla propria infanzia, ricordano di essere stati “sempre un pochino indietro” rispetto agli altri nelle attività fisiche e sportive. Questo per alcuni ha comportato la presenza di senso di colpa (come se non si impegnassero mai abbastanza), per altri un senso di inadeguatezza.

Alcuni giovani e adolescenti vivono la malattia in modo piuttosto spensierato: “la malattia non mi crea grandi problemi”, “al futuro non ci penso più di tanto”. Alcuni di loro, inoltre, esprimono la speranza che i progressi della medicina consentiranno di trovare una cura per la malattia.

Aspetti psicologici nella CMT in riabilitazione

Le persone con CMT che effettuano più o meno regolarmente percorsi riabilitativi o si dedicano all’attività sportiva dimostrano, di fatto, di essere “scese a patti” con la malattia, di avere superato una possibile fase di negazione delle difficoltà.

Iniziare un percorso riabilitativo significa attivarsi per ricercare una condizione di maggiore benessere, alimentare la speranza di potere migliorare o almeno di tenere sotto controllo la propria condizione.

Durante il percorso riabilitativo la persona con CMT, sotto la guida di personale specializzato, impara a “ri-conoscere” in modo più approfondito i propri limiti, ma anche a scoprire o ri-scoprire le proprie risorse, viene guidata nella ricerca di soluzioni alternative in un ambiente protetto, che consente di sperimentare e sperimentarsi, apprende strategie o abilità per una migliore autogestione, sostiene o incrementa il proprio senso di autoefficacia.

Il ruolo dell’Associazione

La possibilità di fare riferimento ad un’Associazione può essere un importante punto di forza per i malati, i loro familiari e per gli operatori sanitari e sociali.

Per alcune persone, venire a conoscenza dell’esistenza dell’associazione è come “sentirsi a casa”. Il confronto con altre persone che convivono con la stessa patologia può favorire l’uscita dall’isolamento, la condivisione di difficoltà e limiti, ma anche di informazioni utili e di strategie per affrontare i problemi che si presentano nella quotidianità.

In conclusione

Arrivare ad una accettabile convivenza con la CMT non è un obbligo, ma una reale possibilità che passa attraverso sfide quotidiane, nelle quali l’eventuale presenza di sofferenza, rabbia, tristezza, sconforto e paura può essere contrastata dal desiderio di continuare a coltivare la propria voglia di vivere e i propri valori, mettendo a punto obiettivi che tengano conto delle limitazioni imposte dalla malattia, ma anche di tutte le risorse e gli aiuti sui quali si può fare affidamento per raggiungerli.

Dr.ssa Emanuela Galante

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